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Ucraina, il rischio del pantano. Che succede se la guerra non finisce subito?

27.02.2022 – 12.16. Pur non inattesa (la crisi in Ucraina, nell’indifferenza diffusa che non è stata capace di far effettivamente applicare gli accordi di Minsk e ci ha portati dove siamo oggi, si protrae dal 2014), l’entità dell’intervento militare russo ha sorpreso il mondo, e soprattutto i paesi UE che fino a poche ore prima della dichiarazione d’intervento di Vladimir Putin speravano in una soluzione diplomatica. Nel dovere, oggi, di aiutare l’Ucraina di fronte a un’aggressione militare, il farlo inviando (come stanno ora facendo la Germania, l’Italia ed altri paesi dell’Unione) armi, equipaggiamenti e denaro per acquistarle in risposta alle sollecitazioni di Volodymyr Zelenskyy, rischia di esporre il suo paese e l’Europa stessa a un grande rischio: quello del modello Siria, ovvero il pantano. Una “proxy-war”, una guerra (l’ennesima) per procura fra Occidente e Russia con l’Ucraina come campo di una battaglia che non si concluda affatto in pochi giorni o settimane, ma diventi per dieci anni una escalation di interventi, battaglie in città e confusione, questa volta alle porte di casa nostra.

Il sentimento anti Putin in Ucraina è oggi fortissimo, persino in chi prima guardava con favore a Mosca dichiarandolo apertamente (dalle nostre parti si fatica a comprendere la sovrapposizione ‘no vax’-‘pro Putin’, ma tant’è). L’Ucraina, a ogni modo, senza un intervento militare diretto dell’Occidente (quelli indiretti, come l’uso di drone e tecnologia di sorveglianza, secondo le accuse della Russia sono già in atto), non ha alcuna possibilità di vittoria contro la Russia, che ha peraltro ottenuto l’appoggio non solo dell’ovvia Corea del Nord e della Cina, ma anche dell’Iran, il quale ha manifestamente indicato le provocazioni della NATO come causa del conflitto). Combattendo da solo ma con un flusso garantito di armi, casa per casa (come incita a fare attraverso i video e le foto), Zelenskyy potrebbe infliggere forti perdite all’armata russa, e rallentare l’inevitabile conquista del paese: una resistenza ammirevole (come quella all’Isola dei Serpenti: dati tutti per morti sfidando il nemico, quei soldati ucraini, sembra invece non sia così), ma allo stesso tempo tragica: difficile pensare che possano essere gli ex manager d’azienda, con in pugno un Kalashnikov, a fermare dalla finestra di casa loro un lancio di bombe a grappolo, se Putin dovesse decidere di autorizzarne l’uso (considerato un crimine di guerra). La Russia sembra aver commesso degli errori strategici, il più grave dei quali è forse l’aver sottovalutato che l’UE potesse ritrovare coesione. In precedenza era quasi già riuscito a spezzarla: che il Regno Unito fosse totalmente allineato agli USA già da subito era cosa scontata, però Francia, Germania e anche Italia speravano in strade diverse, e la diplomazia era al lavoro; poi, forse, l’aver in pratica “chiuso in faccia” il telefono a Emmanuel Macron e Olaf Scholz può aver suscitato in loro quello stesso moto d’orgoglio che può aver fatto decidere Putin di attaccare, e l’Europa si ritrova, inaspettatamente, unita così come non lo era da trent’anni.

La NATO potrebbe intervenire? L’istinto della quasi totalità dei cittadini dell’UE è dire: “impossibile, siamo nella NATO solo per difenderci”. Prima di escludere completamente questa possibilità dal ventaglio delle cose che potrebbero verificarsi, però, dobbiamo ricordare che in realtà è già accaduto, nel 1999: la legittimità dell’intervento NATO (senza l’approvazione dell’ONU) contro la Repubblica Federale di Yugoslavia (con i bombardamenti di Belgrado e Novi Sad, ancora forti nella memoria) è stata fortemente criticata, ed è oggetto sia di studio che di scontro fra chi la ritiene una violazione del diritto internazionale (né più né meno dell’attacco di Putin all’Ucraina) e chi la considera invece pienamente giustificata di fronte alla catastrofe umanitaria e alla pulizia etnica di Milosevic. Nel 1999, i bombardamenti, autorizzati anche dall’Italia governata da Massimo D’Alema, per quanto non difensivi (nessuno stato dell’Alleanza Atlantica era minacciato dalla Yugoslavia) furono giustificati dalla NATO attraverso il ricorso all’Articolo 4, che consente ai membri di consultarsi e prendere decisioni anche militari (e anche d’attacco) nel momento in cui l’indipendenza politica o la sicurezza di uno o più membri sia ritenuta minacciata. Vent’anni fa, o poco più, la situazione in Kosovo era stata ritenuta destabilizzante per l’Europa; la differenza fra la Yugoslavia allora e Russia oggi, in questo contesto, è che la Russa è una potenza nucleare.

Gli ucraini sono quindi pronti per una lunga guerriglia; con 250mila uomini armati, questa guerriglia potrebbe trasformare la loro nazione in una palude, in una guerra invincibile per la Russia ma che non può avere allo stesso tempo aver fine, a meno che non cada Putin. Non è impossibile: per età, per condizioni di salute (tenute segrete da tempo), per insoddisfazione degli oligarchi chiusi fuori dagli affari, o della cittadinanza russa stessa, oggi solidale con lui (le proteste ci sono, ma sono poche, e non solo a causa della repressione) in quanto nessuno in Russia vuole l’espansione della NATO fino ai confini della Federazione, ma domani chissà, perché la Russia è sì un gigante, ma con i piedi d’argilla (la crisi economica potrebbe riprendere, e mordere forte, e il mercato asiatico potrebbe non bastare, anche se intanto di crisi noi dovremo pensare alla nostra, che arriverà prima). Certo gli USA gioirebbero; l’UE potrebbe esultare molto meno, perché Vladimir Putin ha concentrato nelle sue mani potere e controllo, e una transizione improvvisa a una leadership che oggi non sappiamo immaginare aprirebbe la porta a scenari ignoti, facendoci chiedere ad esempio chi, in Russia, porta in tasca le chiavi dei missili nucleari. L’opzione nucleare nel conflitto è un’altra di quelle cose alle quali un cittadino italiano o tedesco o spagnolo o francese, specie se è giovane e non ha vissuto gli anni Ottanta, neppure pensa, non sa cosa possa voler dire: ma c’è. Pochi ragazzi e ragazze sanno delle volte (1961 a Cuba, 1983 in Europa) in cui il mondo a premere il bottone ci è quasi arrivato; a bottone premuto, il mondo non finirebbe, ma la nostra civiltà si, compreso Facebook. La NATO (nel senso, naturalmente, di studiarne le conseguenze sull’Europa) all’arma nucleare ci pensa con grande serietà, e Putin, ai missili, nei suoi discorsi ha alluso con chiarezza quando ha parlato di “conseguenze” per chiunque dovesse minacciare la Russia. Di fronte al dramma dei profughi e dell’inasprirsi della violenza dei combattimenti, la strada dei negoziati subito, con la rapida fine del conflitto, è l’unica che sembra poter garantire la pace in Europa; uno dei problemi del negoziato, oltre al dove farlo (su questo una soluzione si trova), è, per l’Occidente, cosa fare ora di Zelenskyy, al quale gli USA avevano offerto (non caso: con un governo in esilio, tutto sarebbe stato più semplice) una ‘exit strategy’, che ha rifiutato. Sull’esclusione dell’Ucraina dalla sfera d’influenza europea, Putin non tornerà indietro. Vorrà andare avanti? E noi?

[r.s.]

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