11.04.2022 – 15:23 – E’ un azzardo avventurarsi in previsioni sugli esiti di una guerra tuttora in corso e i cui equilibri sono fragilissimi. Tanto più che i fattori in gioco sono molti, sia a livello locale – banalmente: armamenti e soldati, chi reggerà più a lungo? – che internazionale. Le sanzioni economiche alla Russia e il sostegno militare all’Ucraina, sia in termini di armi inviate, sia di supporto d’intelligence, saranno determinanti. Eppure, dopo sei settimane di combattimenti, si può provare a fare un punto della situazione. E’ ormai molto plausibile, se non dato per certo, che Putin si aspettasse tutt’altra situazione. La Russia, quando nell’ultima settimana di febbraio ha invaso l’Ucraina, era convinta di marciare trionfalmente su Kyiv, tra le acclamazioni festanti della popolazione, e di installare un governo fantoccio che sostituisse quello legittimo.
Le cose sono andate diversamente. Anzi, l’Ucraina ha risposto con una forza che pochi avrebbero pronosticato, aiutata senz’altro dalla collaborazione diretta o indiretta di altre nazioni e dalla disorganizzazione dell’esercito di Putin. Esercito che ha palesato limiti di gestione, errori strategici e, con tutta probabilità, problemi di corruzione interna assai peggiori di quanto si potesse immaginare. Una prima vittoria ucraina si è avuta con il ritiro degli invasori dalla zona di Kyiv, che ha retto all’assedio, e con il ripiegamento pressoché esclusivo sul fronte est. Ad oggi, si direbbe che gli obiettivi minimi e “salva faccia” di Putin siano le regioni orientali del Donbass, Lugansk e la penisola della Crimea, ed è prevedibile che sarà in quelle zone che si giocherà l’esito della guerra. E’ noto inoltre che i russi abbiano stabilito una data idealmente conclusiva, quella del 9 maggio, festa nazionale. Errore strategico anche questo, sia perché identifica una “data di scadenza” oltre cui si dovranno tirare le somme, almeno agli occhi dell’opinione pubblica, sia perché un end-game definito dà agli avversari il vantaggio di poter programmare eventuali contromosse a ridosso del giorno scelto, tenendosi nella manica la carta buona da giocare per l’ultima mossa.
C’è un altro punto. Anche se il conflitto dovesse prolungarsi a livello regionale, il legittimo governo ucraino avrebbe modo di riorganizzare la resistenza, assicurandosi un appoggio estero sempre più consistente. Stoltenberg infatti ieri ha annunciato che la Nato continuerà a rafforzare il sostegno a Kyiv.
Insomma sembrerebbe che le prospettive russe di uscirne “bene” non siano accreditate. E’ vero, si parla del reclutamento di sessantamila nuovi soldati per rimpinguare le fila ed è possibile – anche se non molto probabile – che le riserve dell’arsenale bellico ex sovieticvo abbiano ancora qualcosa da offrire, ma che la situazione possa ribaltarsi a favore di Putin al momento sembra l’ipotesi meno verosimile. Cosa può fare dunque il leader russo? Arrendersi e ritirarsi, decisione da escludere, visto che segnerebbe la sua fine politica. Oppure continuare a combattere, in modo da giungere a un accordo con l’Ucraina in cui riesca a strappare il massimo ottenibile. Se quest’ultimo scenario fino a qualche giorno fa pareva persino sfavorevole alla Russia, che reclamava l’intero territorio ucraino, oggi potrebbe essere la sua unica via di salvezza, sempre che il Cremlino riesca a spostare l’esercito verso oriente riducendo al minimo le perdite. Bisogna capire se Zelensky sia ancora disposto a trattare dalla posizione di forza acquisita. Oggi l’Ucraina afferma di perseguire la vittoria e il suo raggiungimento sembra meno difficile di quanto apparisse in passato. Perché mai dovrebbe cedere qualcosa agli invasori proprio adesso? Nessuno sa come e quando terminerà il conflitto, di certo quando questa fase bellica “a est” si sarà conclusa, a favore dell’una o dell’altra forza, avremo tutti le idee più chiare.
di Paolo Locatelli