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Sappiamo usare i social in modo consapevole? La responsabilità condivisa

29.01.2022 – 12.22 – Comunicare è fondamentale. La società si basa sulla comunicazione, tutti hanno bisogno di poter comunicare i loro bisogni, i loro pensieri e le loro emozioni. Anzi, non comunicare è impossibile, nel momento in cui un individuo viene inserito nella società, ogni suo comportamento trasmette necessariamente qualcosa agli altri. Col passare del tempo sono mutati i mezzi di comunicazione, ovvero gli strumenti utilizzati per la trasmissione di informazioni; in particolare si vuole analizzare l’avvento dei mass media, ossia i mezzi di comunicazione di massa, e come ha stravolto per sempre il modo di comunicare degli esseri umani. Il sociologo Marshall McLuhan, studioso nel campo della mass communication, per spiegare gli effetti di questi mezzi, parla di un mondo che si sta trasformando in un villaggio, all’interno del quale tutti conoscono tutti e di come i villaggi, quindi, persino le comunità più “isolate” invece, si possano aprire come un mondo. Qui nasce il concetto di villaggio globale.

Com’è stato possibile ciò? La stampa fu il primo mezzo di comunicazione di massa che permetteva quindi la distribuzione di informazioni da uno a molti. Alla stampa seguirono la radio e la televisione, invece, in età moderna, si parla di computer e di Internet. Gli ultimi mass media permettono non più solo la comunicazione da uno a molti, ma da molti a tutti e viceversa. Sull’internet e sui social media tutti hanno una voce e chiunque può ascoltare l’opinione altrui. Questi complicati sistemi di comunicazione virtuale che vengono continuamente migliorati e perfezionati e che stanno diventando sempre più complessi, possono però essere un’arma a doppio taglio. Il documentario, uscito nel 2020 su Netflix, The Social Dilemma ovvero “Il Dilemma Sociale” affronta, in modo molto diretto, tutti quei dubbi che sono venuti a galla nel corso degli anni riguardo alla sicurezza, la privacy, la gestione dei dati privati degli utenti e in generale alla collaterale dannosità dei social media.

La domanda che viene posta ai vari intervistati (tutte persone che hanno lavorato per società come Google, Facebook, Instagram, Twitter, Pinterest) è: ma quindi quale è il problema?
La risposta è sempre la stessa: non si tratta più di un unico problema -spiegano gli esperti- bensì sono tante piccole cose, piccole falle che si vengono a creare nella gestione di queste reti sociali virtuali che crescano ormai in modo esponenziale ogni giorno e che stanno crescendo, ormai, fuori dal controllo dei loro creatori.
Le testimonianze del CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, fatte nel 2019 davanti al congresso degli Stati Uniti e al Parlamento europeo fecero il giro del globo lasciandolo paralizzato, quando il plurimiliardario poté fare poco più che scena muta davanti ad alcune domande che chiedevano chiarezza sulla privacy e la sicurezza di Facebook.
Una delle domande che venne sul momento ridicolizzata fu: ma se Facebook è un servizio gratis, com’è possibile che faccia così tanti soldi? La riposta a questa domanda non è per nulla banale, Zuckerberg risponde, ridendo, che Facebook fa i soldi che fa grazie alle pubblicità alle quali espone i propri utenti; ma più si va a fondo nella questione, meno piace la riposta. Ciò che il famoso CEO omette è tutta la complessa struttura che viene creata dietro ad ogni realtà dei singoli utenti i quali, si può dire, vengano studiati da algoritmi che hanno un unico fine: collezionare i loro dati personali per far si che essi spendano più tempo possibile sulle piattaforme, che mostrano agli utenti solamente quello che vogliono vedere.

È importante capire che l’esperienza di ogni singolo utente sui social media è diversa e unica. E che essa è stata creata appositamente per ognuno di loro. Non si tratta più, quindi, di semplici canali di comunicazione che hanno il fine di connettere le persone e informarle, infatti questa era l’intenzione iniziale di chi inventò i social, una buona intenzione con grandi potenzialità di cui non bisogna assolutamente scordarsi ma che, anzi, si dovrebbe riproporre. I social, così, dovrebbero tornare su queste tracce, piuttosto che perpetuare finte realtà create per far perdere all’utente più tempo possibile su di esse, ed essere esposti al maggior numero di pubblicità immaginabili.
Perché quindi le persone utilizzano i social come mezzo di informazione, se forniscono solo quelle relative alla percezione del singolo? Perché le persone continuano ad usare i social media, nonostante sappiano che fanno perdere tempo? La risposta è una e una sola: la dipendenza che deriva dalla validazione del proprio punto di vista.
di Fiamma Cecovini Amigoni

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