18.02.2022 – 18.02 – Tutto è iniziato nel settembre 2021, quando la Commissione europea ha dato l’assenso alla pubblicazione in Gazzetta Ue della domanda di protezione della menzione tradizionale Prosek, presentata dalla Croazia che vorrebbe utilizzarla per quattro vini a denominazione d’origine protetta. La norma vuole che, a partire dalla pubblicazione della domanda, ci siano due mesi di tempo per opporsi.
A difesa della loro richiesta, i croati sottolineano la differenza enologica tra il Prosecco ed il Prosek. Se il primo è infatti uno spumante prodotto con metodo Martinotti-Charmat ottenuto da uve Glera, il secondo è invece un vino fermo dolce, simile a un passito. Adatto al fine pasto, il Prosek si abbina principalmente ai dessert ed è ottenuto dall’appassimento di varietà autoctone. Il Prosek viene vinificato nella Dalmazia centrale e meridionale in alcune decine di migliaia di bottiglie da piccoli produttori, soprattutto nell’isola di Hvar.
Gli eurodeputati croati assicurano che non vi è alcuna somiglianza tra i vini, né sul piano delle caratteristiche, né su quello della produzione.
Per l’Italia invece non ci sono dubbi: ci sono gli estremi per il reato di Italian sounding ovvero l’uso di parole, immagini, marchi e riferimenti all’Italia per promuovere prodotti non Made in Italy proprio su uno dei prodotti enogastronomici più sulla cresta dell’onda: il Prosecco.
Il Prosecco rappresenta una delle tipicità italiana di maggior successo e traina tutto il settore alimentare. Ed il prosecco italiano, infatti, gode delle denominazioni DOC e DOCG, marchi giuridici attribuiti dalla stessa Ue al fine di tutelare prodotti di alta qualità.
E così Stefano Patuanelli, ministro per l’Agricoltura, si è subito attivato per il contrattacco. “Il riconoscimento del Prosek- ha detto il ministro durante l’informativa al Senato – rappresenterebbe un pericoloso precedente. È evidente che nella mente del consumatore medio europeo il nome Prosek richiami quello del nostro Prosecco. Siamo fermamente convinti che non ci siano le condizioni giuridiche per questo riconoscimento, che tra l’altro violerebbe un principio sancito dalla stessa Corte di giustizia europea”.
Intanto il tempo passa e la vicenda continua ad innervosire l’Italia del vino, mentre la Commissione Europea si distingue per una preoccupante latitanza, dal momento che non si è ancora pronunciata sul dossier pur essendo passati 3 mesi dal deposito dei ricorsi anti Prosek presentati a Bruxelles.
E così Zaia torna sulla questione giocando d’anticipo: “È imbarazzante pensare che l’Europa possa autorizzare il termine Prosek, che storicamente identifica la nostra produzione. Ci sono moltissimi motivi per dire no. L’Europa chiuda velocemente questa partita e rigetti le richieste croate. Quello che sta accadendo è scandaloso. Tra i tanti motivi di un no secco al Prosek– aggiunge Zaia – c’è una riserva del nome con un decreto del 2009 che firmai quand’ero Ministro, riconosciuto dall’Europa, e c’è il pronunciamento dell’Unesco che, nel 2019, ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità le Colline del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene. Poi ci sono una serie di significative motivazioni storiche”.
Eccole. Le prime citazioni del termine “Prosecco”, con riferimento al vino di cui alla relativa DOP risalgono infatti al XIV secolo. In particolare, al 20 settembre 1382 quando la città di Trieste ha siglato un accordo tale per cui – entrando nei domini del sovrano austriaco – si impegnava a consegnare annualmente 100 orne del miglior vino di Prosecco al Duca d’Austria .
La dicitura Prosecco ha poi continuato ad essere estensivamente usata nei secoli per indicare lo specifico vino, proveniente dai territori del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia e tale legame storico costituisce, tra l’altro, il fondamento del riconoscimento della DOC Prosecco. A tale ultimo riguardo, in alcune incisioni di rame risalenti rispettivamente al 1585 ed al 1590, la città di Prosecco, situata poco a occidente di Trieste, è denominata Proseck, in ragione dell’assoggettamento, in quel periodo storico, dell’area al dominio asburgico. Invece, la riprodotta carta geografica dell’area friulana, risalente al 1770, anch’essa incisa su rame, e stampata per conto del Governo veneziano, impiega, ordinariamente, la denominazione italiana Prosecco.
Il che, secondo il Veneto, conferma non solo l’omonimia/identità tra i nomi Prosecco e Prosek, ma attesta la risalenza storica del collegamento tra l’area geografica intorno a Trieste e il vino Prosecco, oggi tutelato con DO. È, dunque solo a quest’area geografica, del tutto estranea al territorio croato, che può essere ricollegata la storicità della denominazione Prosecco/Proseck.
Non tutti sono comunque d’accordo sul fatto che la vicenda non sia in grado di intaccare l’immagine del Prosecco: il pericolo per molti è quello di creare un evidente stato di confusione presso i consumatori mettendo inoltre in crisi il sistema di tutela delle Denominazioni d’Origine Ue, oltre che l’immagine e le vendite.
A tal proposito è utile parlare anche di numeri: le bottiglie prodotte dalle tre denominazioni del Prosecco – Prosecco Doc, Prosecco Conegliano Valdobbiadene e Asolo – sono più di 627 milioni (fonte: Veneto Economia). Di queste, 370 milioni sono esportate in tutto il mondo. Il mercato delle bollicine italiane più famose al mondo vale ben 2 miliardi di euro di fatturato annuo. La metà di questo valore proviene dall’estero e rappresenta il 16% dell’export totale italiano. Il vino croato, insomma, approfitterebbe non soltanto della fama legata al nome ma anche del successo economico del concorrente italiano.
di Giovanni Manisi