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25 aprile di resistenza, l’Europa e il Battaglione Azov. Imbarazzi di una guerra difficile

25.04.2022 – 08.51 – A Mariupol, in Ucraina, in questo 25 aprile italiano l’acciaieria Azovstal sta venendo bombardata senza sosta dai soldati di Vladimir Putin; il portavoce del dipartimento di Stato americano Ned Price ha dichiarato alla BBC di essere sicuro che Kiev vincerà la guerra, e che ciò che gli USA hanno fatto “è esattamente aver inviato ai nostri partner ucraini ciò di cui avevano bisogno per difendersi”. La difesa, secondo il vice governatore della Banca nazionale ucraina Sergiy Nikolaychuck, costa fra i 5 e i 7 miliardi di dollari al mese, spesa che dovrebbe essere finanziata (queste le aspettative) dai paesi europei che sostengono l’Ucraina e dagli USA stessi. “Noi siamo dalla parte giusta della storia”, così il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, “come lo è stata la Resistenza italiana”.

Il Battaglione Azov protagonista dei combattimenti a Mariupol e nel complesso Azovstal nel 25 aprile italiano di oggi, anniversario della liberazione e della vittoria della resistenza italiana sul fascismo e sul nazismo, nasce come formazione nazionalista paramilitare di estrema destra (una, autodefinitasi, “polizia privata”). La filosofia d’azione di questo genere di milizie e “polizie private” ci riporta a cent’anni fa, prima dei sacrifici della lotta di liberazione, quando in Italia, e in Germania soprattutto, reduci di guerra rigidamente organizzati e ancora molto bene armati diventano uno strumento ferreo (molti di essi metteranno proprio ‘ferro’, o ‘acciaio’, nel loro nome) di opposizione ai governi democratici e repubblicani del primo Dopoguerra, e soprattutto alla sinistra e al comunismo (si finirà poi con Benito Mussolini su Roma, e con Adolf Hitler a Berlino); una differenza non di poco conto è però la natura politica, e non prettamente militare, delle milizie contemporanee. Dopo l’annessione russa della Crimea, nel marzo 2014, il Ministero per la difesa ucraino incoraggiò la mobilitazione di unità volontarie di cittadini armati contro i russi del Donbas, e i primi scontri violenti nel Donetsk iniziarono a verificarsi subito dopo, nell’aprile dello stesso anno: da allora, è sempre stato uno scambio, documentato da tutte e due le parti (quella russa e quella ucraina), oltre che di colpi di mortaio e di missili, anche di accuse di massacri, crimini di guerra e aberranti violazioni dei diritti umani. Un confronto lungo otto anni, nel quale nessuna delle due nazioni ha cercato per davvero la pace, con i separatisti del Donbas sostenuti da Putin e l’Ucraina dagli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, dopo un periodo di sostegno piuttosto aperto, bloccarono a dire il vero, nel 2015, gli aiuti materiali e finanziari agli ultranazionalisti ucraini proprio a causa del palese e pubblicamente ostentato neonazismo, per poi rimuovere però il blocco nel 2016, reintrodurlo nel 2018 per voto del Congresso, e superarlo di fatto quest’anno con l’inizio dell’invio di armi dopo lo scoppio delle ostilità. Diventato poi parte della Guardia Nazionale Ucraina e quindi dell’esercito regolare, il Battaglione basa la sua operatività sulla dottrina dell’indipendenza nazionale ucraina attraverso il rafforzamento delle formazioni paramilitari e militari per un’opposizione attiva, e sul campo, alla Russia – in parole povere, sostiene la necessità non della difesa, ma della guerra come strumento politico: quello che l’Italia, nella sua Costituzione, ripudia. Ha sempre avuto una sua ala politica, responsabile per la propaganda e il colloquio con il governo ucraino attraverso Pravy Sektor (“pravy” significa proprio “destra”), il partito estremista che in piazza Maidan, a Kiev, nel 2013, ha raccolto, come “patrioti per l’Ucraina”, chi pensava sì all’Europa e non a Mosca, ma a un’Europa declinata in nero. Fra i primi a definirsi “patrioti per l’Ucraina” dopo Euromaidan sono stati i suprematisti bianchi del movimento anti-immigrazione e (di nuovo) neonazista di Andriy Biletsky, basato a Kharkiv (un secondo nome che, assieme a Mariupol, risuona ora tristemente, ogni giorno, nelle cronache di guerra); inizialmente nel 2005, in maniera indipendente e poi, nel 2008, sotto le ali dell’Assemblea Nazionalista Sociale ucraina. I legami di Azov con le altre organizzazioni di estrema destra europee, fra le quali CasaPound, sono noti, e se ne parlò già fra il 2017 e il 2018 (oggi CasaPound sostiene apertamente l’Ucraina, mentre Forza Nuova la Russia: una frattura politica nella destra, questa, che ha disorientato l’intelligence italiana, e che porta a divergenze anche all’interno delle forze di destra più moderate, lacerate fra l’amicizia dimostrata negli anni a Putin e l’atlantismo storico). Ha arruolato combattenti stranieri affini alla sua ideologia sia in Europa, fra la destra extraparlamentare di diverse nazioni (Italia, Spagna, Francia, Svezia), che oltreoceano, inclusi suprematisti bianchi statunitensi: si parla di circa 50mila combattenti negli anni trascorsi dalla fondazione, attratti dalla capacità comunicativa del gruppo. In Azov si sono arruolati anche nazionalisti russi oppositori di Putin, e per diversi anni il controsenso che la guerra di oggi sottolinea è stato che nel battaglione nazionalista ucraino per eccellenza, quello che guardava alle radici supposte lontane dalla Russia, la lingua più parlata era il russo.

Azov è diventato da subito, con lo scoppio delle ostilità, il bersaglio di Vladimir Putin: fermo restando il pericolo di cadere nella trappola propagandistica russa, che pretende di giustificare un’aggressione militare come una giustificabile azione preventiva, se ci si è chiesti come mai proprio Mariupol, come bersaglio degli attacchi più violenti, e non Kiev stessa (nella quale i capi politici europei e statunitensi continuano ad andare e venire con una certa tranquillità e disinvoltura, situazione senza precedenti nella storia se si parla di due nazioni in guerra), è perché è proprio la città nella quale il battaglione Azov, dal 2014, ha la sua base, vicino al mare dal quale ha preso il nome. Il Battaglione Azov ha combattuto contro i separatisti russi nel Donetsk e Luhansk; Mariupol stessa è stata riconquistata nel giugno di quell’anno dopo l’annessione da parte di forze separatiste sostenute dalla Russia. Il controllo della città ha forti implicazioni strategiche, essendo essa un porto estremamente importante e la via di accesso logistica al resto dell’Ucraina in una guerra che è per il controllo di risorse economiche. È stato proprio nel corso della riconquista di Mariupol che il Battaglione Azov è diventato noto per il suo uso disinvolto di iconografia nazista: dai simboli di forza e supremazia utilizzati dal Partito Nazionalsocialista tedesco negli anni Trenta del secolo scorso, a Stepan Bandera terrorista mandante dell’assassinio del ministro dell’Interno polacco Pieracki nel 1934 e collaboratore dei nazisti, all’aperto antisemitismo e ai richiami a motti ed eroi di una Germania passata. Una propaganda palese che i leader di Azov hanno sempre cercato di sminuire, nel timore di alienarsi il supporto delle nazioni europee, convertendo “nazismo” in “patriottismo”; difficile però cancellare le parole di Biletsky stesso, eletto nel 2014 al Parlamento ucraino e rimastoci fino al 2019, che dichiarò come propria missione quella di “guidare la razza bianca del mondo nella sua crociata finale contro i subumani semiti”. L’Ucraina, secondo i leader del Battaglione Azov di allora (pensare che oggi possa essere diverso non è semplice), aveva bisogno di un “forte dittatore in grado di spargere molto sangue ma unire la nazione”. A Kharkiv (ancora una volta nome che suscita oggi dolore), negli anni fino al 2010, i precursori del Battaglione Azov erano attivi nel monitoraggio dell’ordine pubblico con il supporto del governatore della città, Arsen Avakov, poi ministro dell’Interno dell’Ucraina; monitoraggio che includeva il respingimento di migranti e il raid ad accampamenti e negozi di proprietà di oppositori al governo. Dal 2016 la portavoce del Battaglione Azov è una donna, Olena Semenyaka, responsabile dei rapporti internazionali e coordinatrice della rete di comunicazioni con le organizzazioni di estrema destra d’Europa, incluso Mark Collett, del Partito Nazionale Britannico, dichiaratamente “simpatizzante nazista” così come CasaPound in Italia, che Semenyaka ha visitato, si è apertamente dichiarata fascista – e gli Stati Uniti, con la Divisione Atomwaffen. Semenyaka ha già detto nel febbraio di quest’anno in un’intervista di credere che il ruolo del Battaglione Azov possa essere “molto importante per l’Ucraina, soprattutto per quella del futuro”. Molte delle iniziative di addestramento dei civili alla guerra che hanno avuto larga eco sui media europei in febbraio sono state organizzate da Azov (fra le quali, quelle a Kiev), e all’inizio di marzo il governo ucraino stesso ha annunciato la formazione di una “legione internazionale” e di sforzi per facilitare l’arrivo in Ucraina di combattenti stranieri (sia volontari, che stipendiati).

In quella che a tutti gli effetti è una nuova guerra fra ricchi, mossa da forti interessi economici e strategici molto più che dall’ideologia, e che sta facendo rapidamente (e in maniera fortissima, come ha evidenziato Unimpresa) aumentare il divario economico fra gli USA e l’Unione Europea (con un’Europa in prima linea, impegnata a sostenere la parte più grossa dello sforzo economico non solo in termini di investimento ma di contrazione economica dovuta alla cessazione dei rapporti con la Russia, e gli Stati Uniti contemporaneamente sul palco con le dichiarazioni di Biden ma dietro le quinte in termini di distanza dai luoghi del conflitto e di danno economico nel prossimo futuro, impegnati nel tentativo di riconquista di un ruolo di egemonia globale minacciato dalla Cina), l’estrema destra rappresentata da Azov assieme alle altre formazioni suprematiste non ha avuto finora, e non ha, in realtà, il supporto della cittadinanza ucraina, fortemente preoccupata dalle nostalgie neonaziste e ancora ricca di memorie della Seconda guerra mondiale. I tentativi di conquistare una fetta di consenso più larga nelle occasioni elettorali succedutesi sono infatti fino ad ora andati a vuoto, anche se, nel 2019, i membri dei movimenti ultranazionalisti ucraini, fra i quali Azov, hanno ottenuto quello che si può certamente definire come un riconoscimento politico ufficiale, ovvero il permesso di monitorare le elezioni presidenziali che hanno portato poi all’elezione di Volodymyr Zelensky. Dalle acciaierie Azovstal, nelle quali si è asserragliato cercando di riproporre un’inquietante scenario da fabbrica di trattori di Stalingrado alla rovescia e coinvolgendo nei combattimenti anche un numero elevato di civili e di bambini, il Battaglione Azov (la voce del quale molti giornali e media europei hanno in più occasioni, nei giorni scorsi, raccolto e diffuso) potrebbe anche non uscire: l’unica cosa certa, per ora, è che i soldati russi, di fronte alle bandiere con la “quasi svastica” di Azov (che alcuni hanno provato a spiegare in altri modi, con la tradizione e le radici culturali profonde oggi spesso di moda, senza però convincere), non si fermeranno. Che cosa faranno l’Europa e la NATO dei cocci di Azov, al quale presumibilmente è arrivata una parte non irrilevante delle armi spedite dalle nazioni europee e confluite in Ucraina (c’è chi dice, in buona parte immagazzinata e pronta per essere rivenduta poi alla nazione straniera miglior offerente), resta da vedere.

[r.s.]

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