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Pillole di filosofia: che cos’è l’Archè?

02.04.2020 – 14.00 – Una parola tanto cara ai filosofi antichi: archè, ἀρχή, è un termine che si pone in prima linea tra i primordi principi della tradizione filosofica.
Una parola difficile da identificare ma che può essere definita come “principio di tutto le cose”, ma che ovviamente varia a seconda della scuola di pensiero o del singolo filosofo.
Per poter parlare al meglio di questo caposaldo filosofico, dobbiamo d’obbligo introdurre la celebre scuola ionica di Mileto, nata attorno al VI secolo a.C. nella Ionia.
Il pensiero di questi pionieri della filosofia si incentra particolarmente sul problema della realtà primaria: quella parte unica, eterna e immutabile dalla quale tutto ciò che esiste si è creato.
Un principio di tutte le cose che vede diverse forme e diverse caratteristiche, a seconda del filosofo che andiamo ad affrontare.
Purtroppo della civiltà di Mileto ci restano pochi scritti dentro i quali è contenuta parte dei pensieri di Talete, Anassimene e Anassimandro: i cosiddetti “filosofi dell’Archè“.

Cominciamo con Talete, fondatore della scuola ionica, che vedeva come principio imprescindibile l’Acqua: a sua detta infatti, tutte le cose si originano dall’umido, come i semi, che traendo nutrimento dal terreno portano alla nascita del germoglio.

Ad affidarsi ad un altro elemento naturale portante è Anassimene che, come forza portante delle cose, vede l’Aria.
Egli traduce il mondo in un grande animale che respira e vive di aria, riportando il concetto di inspirare ed espirare ad un processo primordiale ed essenziale; gesto che verrà ripreso anche nella Religione Induista con la visione ineluttabile dell’Ātman.
Le cose, per Anassimene, vengono determinate dall’aria in due modi: con la rarefazione e la condensazione.
Rarefacendosi, l’aria diventa fuoco, mentre condensandosi diviene vento, nuvola,acqua,terra e quindi pietra.

Infine un uomo polivalente, non solo filosofo ma anche astronomo e matematico: Anassimandro.
Grazie a lui possediamo il nome Archè, che egli non riconobbe, come i suoi colleghi del tempo, in un elemento naturale, bensì nell’Apeiron, ἄπειρον, ovvero l’infinito.
Una scelta che vede l’archè, almeno in origine, come un unicum con al suo interno tutte le cose armoniosamente unite.
Egli ritiene però che, questo contenitore indistinguibile, possedesse un continuo movimento rotatorio che, per una possibile colpa originaria, avesse fatto separare tutte le cose a coppie di contrari, dando origine al cosmo.
Questa rottura dell’Apeiron porta dunque ad una continua sofferenza intrinseca nel mondo e nell’esistenza.

 

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