08.09.2022 – 14.25 – I fari rappresentano un’infrastruttura dalla duplice funzione: salvaguardano le navi dallo schiantarsi sugli scogli e come tali svolgono una funzione commerciale, proteggendo i navigli; ma rimangono al tempo stesso un elemento militare, punteggiando il territorio di una nazione. In questo contesto non deve sorprendere come inizialmente la costruzione dei “fanali marittimi” nell’area dall’odierna Istria, alla Venezia Giulia, al Veneto orientale fosse stata commissionata dalla Deputazione di Borsa di Trieste. L’architetto Pietro Nobile, preposto alla Direzione delle Fabbriche del Litorale, ricevette l’incarico di costruire il faro di Salvore, il primo del Mediterraneo a utilizzare l’illuminazione a gas (17 aprile 1818). Nel giro di quarant’anni la Deputazione disseminò di fari le coste dell’Adriatico “austriaco”: rimane celebre il faro della Lanterna di Trieste (1833), ma nella realtà tutte le coste vennero disseminate di fanali, Veneto compreso. La Deputazione costruì infatti nel 1855 i “fanali” di Spignon e Rocchetta a Malamocco e nel 1863 l’ultimo faro veneziano, a Chioggia. Dopo la terza guerra di indipendenza (1866) la funzione militare subentrò a quella commerciale e la costruzione dei futuri fari passò al Governo Marittimo di Trieste; i quattro fari veneziani divennero invece proprietà del Regno d’Italia.
Il caso della Venezia orientale è in tal senso peculiare, perchè il faro di Piave Vecchia venne costruito già nel 1845, ma direttamente dal governo viennese: lo scopo militare era manifesto, anticipando le future turbolenze ottocentesche. Il mare Adriatico rappresentava uno scenario interessante per la costruzione dei fari: la confluenza dei principali fiumi della pianura padana, i bassi fondali e l’avanzamento del delta del fiume Po, con una profondità a nord di Ancona inferiore ai 50 metri richiese una grande varietà di “fanali” marittimi.
Il faro di Piave Vecchia è collocato sulla foce del fiume Sile, oggi nota come “porto di Piave Vecchia”, nel comune di Cavallino- Treporti. Il fanale dunque guarda il mar Adriatico alla coincidenza tra il comune di Jesolo e di Cavallino. La zona di Piave Vecchia, nonostante un’apparenza ancestrale, in realtà rappresenta una creazione artificiale: era l’antico alveo del fiume Piave, allagato nel Seicento dalla Repubblica di Venezia per limitare le continue alluvioni e allontanare il fiume “sacro alla patria” dalla laguna. La zona fu oggetto nella prima guerra mondiale di violenti combattimenti.
Il faro si presenta con le più classiche forme di un fanale marittimo: un cilindro dipinto a fasce bianche e nere, dall’altezza di 48 metri. Una scala a chiocciola formata da 243 gradini in pietra d’Istria permettono di giungere alla sommità; il segnale luminoso raggiunge le 18 miglia di distanza. L’esercito tedesco lo distrusse durante la seconda guerra mondiale, ma già tra il 1949 e il 1951 venne ricostruito dal Genio Civile di Venezia. Secondo le fonti del periodo il faro venne ricostruito “dov’era e com’era” con caratteristiche di “radiofaro”. È lecito dunque presupporre che l’originale faro austriaco risultasse molto simile nelle forme e nella colorazione. Probabilmente l’elemento maggiormente straniante risulterebbe, per un osservatore del passato, la presenza delle spiagge turistiche di Jesolo con annessi campeggi.
Il faro dal 2004 viene utilizzato, a seguito di alcuni lavori di ammodernamento, come sede della Guardia Costiera di Jesolo; due anni dopo, nel 2006, l’omonimo ufficio è stato elevato a “Circomare” con Decreto del Presidente della Repubblica del 1/02/2006 n. 89.
Un restauro avvenuto nel 2018 l’ha ulteriormente confermato quale punto paesaggistico certamente peculiare, un bell’esempio di archeologia industriale che mantiene però un’utilità pratica.
Fonti: Luciano Massariolo, Guglielmo Zanelli, I fari e i segnalamenti marittimi italiani: la costa adriatica, Roma, Viella, 2008
di Zeno Saracino