di Alessia Da Dalt
18.11.2023 – 11.57 – In quest’ultimo anno c’è stata una sola parola sulla bocca di tutti: chatGPT. Ha fatto discutere le più grandi personalità dell’ambito scientifico e tecnologico e ha prodotto dibattiti etici che tutt’ora non sono stati risolti, ma che cos’è esattamente e qual è la sua storia? Si tratta di un chatbot, in termini molto semplici un software progettato per simulare una conversazione con un essere umano il cui scopo è quello di emularne un comportamento. A volte sono definiti come “agenti intelligenti” e vengono utilizzati con moltissime finalità, una delle quali rispondere alle domande degli utenti che accedono a un sito. ChatGPT non è il primo chatbot, nonostante la sua fama gli attribuisca questo merito. La storia di questi software inizia nel 1950con un articolo di Alan Turing nel quale l’autore proponeva un criterio, oggi definito test di Turing, per determinare se una macchina fosse in grado di pensare o meno.
I chatbot: da ELIZA a Doretta
Il primo vero e proprio chatbot si ha nel 1966: ELIZA, un programma, sviluppato dal celebre informatico tedesco Joseph Weizenbaum, che riusciva a ingannare le persone facendo loro credere di star parlando con un altro essere umano. Lo stesso fondatore sostenne che il software non fosse intelligente e avesse un funzionamento ben più semplice di quanto si pensasse. L’algoritmo di ELIZA comportava il riconoscimento di parole o frasi in ingresso e la corrispondente uscita di risposte programmate costruite allo scopo di far progredire una conversazione in modo apparentemente significativo, creando l’illusione che il programma avesse la facoltà di comprensione uguale a quella di un essere umano.
Il successore di ELIZA è Parry, datato al 1972 e programmato da Kenneth Colby. Parry fu il primo a passare il test di Turing e le sue risposte erano piuttosto complesse, articolate, tanto da simulare quelle di una persona affetta da schizofrenia e paranoia. La storia continua poi con A.L.I.C.E., 1995: Artificial Linguistic Internet Computer Entity per mano di Richard Wallace, lo stesso inventore del linguaggio A.I.M.L. (Artificial Intelligence Markup Language). Anche questo software si basava su un sistema a keyword, ovvero la capacità di elaborare le proprie risposte a partire da una parola chiave captata nella domanda o nell’affermazione precedente. Era così raffinata che vinse per tre anni il premio Loebner, riconoscimento assegnato a tutte quelle tecnologie in grado di superare il Test di Turing. Infine nel 2007 nasce Doretta, il chatbot di Messenger, pensato per aiutare gli utenti nelle loro ricerche dato che l’applicazione era appena ai suoi inizi.
L’avvento dell’AI Conversazionale
Ciò che distingue un chatbot da un programma in grado di elaborare il linguaggio naturale (come appunto ChatGPT) è quindi la produzione di risposte che sono abbastanza vaghe e mai specifiche e che possono essere intese come “intelligenti” per una vasta gamma di contesti di conversazione. Quest’ultimo, invece, è in grado di correlare informazioni da molteplici sorgenti per produrre una risposta coerente; di fatto è in grado di cercare la risposta più adatta tra miliardi e miliardi di fonti che compongono il suo “cervello” per poi rielaborarla proprio come se fosse un umano a proporla.
ChatGPT è stato creato da OpenAI, un’azienda nata nel 2015 a San Francisco fondata da Elon Musk e Sam Altman (il programmatore di ChatGPT), i cui obiettivi di ricerca sono quelli di promuovere e sviluppare un’intelligenza artificiale amichevole per far sì che l’umanità ne tragga beneficio. Il software è stato lanciato il 30 novembre 2022 ed è stato “addestrato” dai modelli a lui predecessori come Instruct GPT o GPT-3.5. È stato messo a punto con tecniche di apprendimento automatico (una branca dell’intelligenza artificiale che utilizza metodi statistici per migliorare la performance di un algoritmo nell’identificare gli schemi che si ripetono tra i vari dati, un esempio di questi schemi sono i suggerimenti che la tastiera del cellulare offre all’utente) e per rinforzo (una tecnica di apprendimento automatico che mira a creare agenti autonomi in grado di scegliere le azioni da compiere per arrivare a un obiettivo).
Rispetto ai suoi predecessori il nuovo software è nettamente migliore in quanto presenta un vocabolario più ampio, è molto più bravo a comprendere le intenzioni dell’utente ed è stato ottimizzato per limitare il più possibile la creazione di contenuti inventati; le sue nozioni sono limitate agli eventi accaduti fino al 2021. ChatGPT può essere applicato nella costruzione di chatbot che possono essere implicati anche nel mondo lavorativo come quelli per il servizio clienti o le vendite, per costruire sistemi in grado di completare o suggerire il testo sulla base di input parziali. Questo può essere utile per attività come la digitazione predittiva o la generazione di testo in base a una serie di richieste. Può essere poi utilizzato anche per creare un testo coerente e naturale, come sistema di traduzione, per produrre riassunti e molto altro ancora.
Intelligenza Artificiale: un mondo di nuove possibilità
È naturale che l’intelligenza artificiale e un’innovazione di questa portata non solo aprano nuovi dibattiti e forniscano nuove consapevolezze, ma facciano riflettere soprattutto per quel che riguarda il mondo del lavoro. Avanzano, infatti, in parallelo sia le grandi potenzialità che software di questo tipo hanno, sia la preoccupazione che le stesse possano sostituire o modificare alcune professioni, con un impatto altissimo sull’occupazione. Un esempio pratico possiamo riscontrarlo nell’ambito della traduzione, come citato sopra infatti chatGPT può tradurre testi in maniera molto accurata e molto più veloce rispetto a un qualunque traduttore, grazie alla sua capacità di comprendere e generare un linguaggio naturale.
Questo potrebbe comportare, anche nel breve termine, la sostituzione dei traduttori umani con questo strumento. Date però le sue potenzialità l’utilizzo di questo software potrebbe estendersi a numerosi settori, da quello legale a quello contabile e via dicendo. Al momento non è facile stimare quali potrebbero essere gli impatti, positivi e negativi, sul mondo del lavoro, ma proprio alla luce delle preoccupazioni che il mondo dell’intelligenza artificiale comporta, il Parlamento Europeo sta lavorando a una bozza di Direttiva sulle piattaforme digitali meglio nota come Digital Services Act (DSA). Al momento sarebbe in fase di inserimento la previsione riguardo la presenza obbligatoria di un operatore nello svolgimento di attività lavorative che richiedano l’uso di piattaforme digitali. È possibile però immaginare quali potrebbero essere le modifiche che i lavoratori subirebbero, per esempio alcuni dipendenti potrebbero passare dal fare un prodotto o un servizio al dover “solo” verificare un prodotto o servizio creato dall’intelligenza artificiale. Ancora, potrebbe essere richiesto loro di concentrarsi sul migliorare le capacità del software di intelligenza artificiale. Questo comporterebbe un aumento significativo circa la riservatezza e confidenzialità dei dati sensibili e dei dati strategici aziendali per evitare che gli stessi vengano dispersi, dato che se venissero inseriti per sbaglio nel software potrebbero poi essere visibili a terzi.
L’IA ci “ruberà” il lavoro?
Di fronte a tutto questo non si esclude dunque la possibilità che molti dipendenti si vedano sottratta la loro mansione dall’intelligenza artificiale o viceversa si richieda una qualifica maggiore qualora si assegni al dipendente il dovere di verificare i prodotti generati dal software. In più è probabile che questi cambiamenti comportino la necessità da parte del datore di lavoro di modificare e allineare anche gli strumenti di valutazione delle performance dei lavoratori. In conclusione l’introduzione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro può rappresentare una sfida significativa per i lavoratori, ma anche un’opportunità per la loro riqualificazione o lo sviluppo professionale.
Può rappresentare un grande passo avanti nella creazione di un futuro del lavoro più efficiente, produttivo e soddisfacente sia per l’impresa stessa che per i lavoratori. Vedendo infatti i risultati dell’indagine condotta da Randstad Global Technologies sulle implicazioni dell’intelligenza artificiale nella trasformazione digitale, oltre 33 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti e più di seimilioni nel Regno Unito sono soggetti ad automazione attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, in particolare quando si parla del settore bancario e di quello dell’informazione. Questo perché si sta cercando il più possibile di affidare i compiti ripetitivi all’AI on l’obiettivo di far concentrare i lavoratori su mansioni più importanti.
Insomma, ChatGPT si è rivelato un vero e proprio assaggio di quello che un futuro sempre più tecnologico ha in serbo per noi, siamo pronti ad afferrarlo? La riposta ce la darà solo il tempo.
[a.d.d]