27.01.2022 – 16.00 | Per il quarto giorno consecutivo, si registra un nulla di fatto a Montecitorio, dove i Grandi Elettori sono riuniti per decidere chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica Italiana. Anche oggi, infatti, non è stata raggiunta da nessun candidato la soglia di 505 voti (ovvero, la metà più uno dei votanti) necessaria per insediarsi al Quirinale. Aumentano i voti in favore dell’attuale Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che dopo i 125 voti ricevuti al terzo scrutinio è salito a 166 preferenze. Dietro di lui, il magistrato (nonché presidente dell’Associazione Nazionale Magistradi di Palermo) Nino Dimatteo, che è stato votato da 56 elettori. Altissima l’astensione: il centrosinistra aveva comunicato già in mattinata che avrebbe lasciato bianche le proprie schede, mentre a destra non vi è stata unità di intenti e qualcuno aveva scelto di non partecipare alla chiama. Il risultato è che soltanto in 274 (279 se si contano le schede nulle) hanno apposto un nome sulle schede, mentre i restanti 702 grandi elettori presenti oggi a Montecitorio non hanno partecipato. Si prolunga dunque l’elezione del prossimo inquilino del Quirinale: domani, alle 11, si tornerà in aula per il quinto scrutinio.
ANCORA UNA GIORNATA INTERLOCUTORIA – Che il quarto scrutinio possa essere ancora interlocutorio appare chiaro già prima della chiama, quando prima il Partito Democratico, poi Italia Viva annunciano di votare scheda bianca, decisione poi allargata all’intero fronte di centrosinistra. Da destra invece sono i Grandi Elettori di Fratelli d’Italia a chiamarsi fuori, astenendosi dalla votazione (è la seconda volta nella storia repubblicana: il precedente risale al 1992, quando furono i Grandi Elettori della Democrazia Cristiana a rifiutare la scheda) e inasprendo la frattura in seno al centrodestra, nonostante l’apertura mattutina di Forza Italia alla scelta di un nome di alto profilo istituzionale e alla rinuncia a una candidatura di bandiera e a dispetto dei vertici tenuti in mattinata, e a un confronto con il centrosinistra e tutto il campo progressista, arrivata dal leader Antonio Tajani. Da parte del MoVimento 5 Stelle, invece, di fronte alla mancanza di nomi validi (“Sono un centravanti” avrebbe detto nella serata di ieri Giuseppe Conte, presidente pentastellato, usando una metafora calcistica “ma se non arrivano palle buone è complicato”), viene data libertà di voto ai propri elettori. Irritato, invece, il leader di IV Matteo Renzi, a cui infastidisce sia la perdurante situazione di stallo (“Rischiamo di perdere credibilità internazionale”) sia il continuo emergere di nuovi nomi.
TANTI I NOMI, TANTA L’INCERTEZZA – Tra i nomi circolati in mattinata, quello di Elisabetta Belloni, diplomatica e attuale dirigente del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (che secondo alcune fonti sarebbe stato gradito a FdI, ma non ai renziani e ai pentastellati); quello di Pierferdinando Casini (che in realtà è tra i nomi caldi sin da prima che avessero inizio le votazioni), che la Lega avrebbe comunque immediatamente bocciato; quello di Marta Cartabia, attuale Ministro della Giustizia, riproposto oggi dal fondatore di Azione, Carlo Calenda; Luigi Manconi, attuale senatore del PD, appoggiato da Sinistra Italiana e da Europa Verde. Insomma, al quarto giorno di scrutinio (e di trattative) emerge ancora un quadro molto frammentato, anche tra forze politiche che appaiono tradizionalmente vicine. Ciascuno non sembra intenzionato a rinunciare al proprio candidato, né a votare il candidato altrui, a dispetto delle dichiarazioni, né – tantomeno – a discutere su nomi che possano sanare le distanze. La questione Quirinale si intreccia in modo ancora più stretto alle sorti del Governo, come ribadito nella serata di ieri dal segretario PD Enrico Letta: “Legare la vicenda del presidente della Repubblica con la tenuta dell’esecutivo non è una sgrammaticatura istituzionale.” avrebbe dichiarato, per poi aggiungere che “Dobbiamo fare di tutto per evitare di perdere Draghi, di qualsiasi ruolo si tratti.”. Insomma, l’elezione del Presidente della Repubblica, oggi più di ieri, rischia di far saltare il banco anche al Governo, a prescindere dal destino dell’attuale Presidente del Consiglio, Mario Draghi e del suo eventuale trasferimento al Colle: oggi, più di ieri, appare evidente che nessuna delle forze che compongono l’attuale maggioranza sia davvero disposta a trattare. E, in mancanza di un accordo sulla massima carica dello Stato, potrebbero venire meno anche i patti per sostenere l’attuale esecutivo.
di Epifanio Romano