28.01.2022 – 19.24 – Ci sono meandri di internet che si danno per appurati, rintuzzati a volte nelle pieghe della nostra memoria, e che tornano a farci visita solitamente dopo alcune particolari vicende di cronaca.
È proprio questo il caso di Omegle, piattaforma di chat online nata ed esplosa nel, potremmo dire tecnologicamente parlando, lontano 2008: a quei tempi infatti si parlava di una grande novità che smosse gli utenti della rete.
Una piattaforma che è stata, fin dagli albori, considerata ‘ambigua’, poiché contenente, spesso e volentieri, scenari a dir poco spinti, che molto si allontanano dal family friendly.
E in un 2020/21 caratterizzato dall’emergenza sanitaria, e dalle conseguenti misure di contenimento, questa realtà virtuale è tornata a farsi sentire, in concomitanza con le restrizioni stringenti che obbligavano la popolazione della Penisola nelle proprie abitazioni per lassi di tempo decisamente prolungati.
La necessità di socializzare potrebbe esser migrata verso questa ‘vecchia roccia’ delle chat online, ripopolandola e facendola tornare, per forza di cose, al centro del dibattito.
Perché se è vero che i giovani sono tornati a riscoprire Omegle, è altrettanto vero che su questo sito basato sul motto “Talk to strangers!” sono molti i rischi e i pericoli in cui un minorenne può incappare.
Ma come funziona questa piattaforma?
Come già anticipato, si parla di una ‘chat roulette‘ alla quale si accede in forma anonima e senza registrazione, dando la possibilità di parlare per iscritto o in video con uno sconosciuto.
Una situazione di ‘comfort’ che, in questo 2021, abbraccia la necessità di incontrare nuove persone, impedita spesso dalle restrizioni messe in atto per il contenimento della pandemia.
Un trend che non nasce però a partire dal periodo di lockdown, ma che prende il via già dal 2019, con una curva ascetica nata perlopiù da nuovi trend nati da alcuni youtuber, spostandosi poi anche su Tik Tok.
Muovendosi all’interno della piattaforma e parlando con un po’ di utenti di quest’ultima, si scopre infatti che, nella dieta digitale della Gen Z, Omegle è una pietanza che viene gustata già da un bel po’ di tempo, appunto già dall’epoca ante Covid-19.
I volti che vengono passati in rassegna in questa roulette frenetica, intervallati purtroppo da comportamenti, potremmo dire, censurabili, sono di giovanissimi, dai sedicenni fino ad arrivare addirittura a ragazzini davvero piccoli, parliamo di una fascia di età che si sposta dagli 8 ai 13 anni:adolescenti, e anche bambini, che si ritrovano su una piattaforma di chat online decisamente complessa e variegata (con frange decisamente ‘estreme’), dove discernere cosa fare e cosa non fare, per individui in formazione come possono essere questi ragazzi, risulta difficile.
Dunque Omegle non è decisamente adatto ai più piccoli e, anzi, vedere facce così giovani su una piattaforma dai connotati molto ambigui, preoccupa e non poco.
Nonostante le nuove generazioni siano nate e cresciute nel digitale, acquisendo strumenti d’azione e una consapevolezza decisamente più approfonditi, è necessario tenere a mente la vulnerabilità e la fragilità che caratterizza il periodo adolescenziale, specialmente agli albori di quest’ultimo.
Ma questa nuova tendenza, come si accennava, è giunta alla corte mediatica appena lo scorso febbraio, quando in Inghilterra si è iniziato a parlare di casi di molestie sessuali perpetrate da adulti che, approfittando dell’anonimato e dall’impossibilità di registrare le chattate, provano a interagire con minori.
Un caso che è letteralmente esploso, portando la BBC a dare il via ad un’inchiesta che ha coinvolto anche l’Internet Watch Foundation, rimettendo in discussione sia la piattaforma sia queste modalità di interazione digitale.
Omegle è in seguito intervenuta, cercando di limitare le ricerche attinenti alla sfera sessuale, ma non sembra che questo sia stato abbastanza per arginare il fenomeno, specialmente a seguito del nuovo boom di utilizzo massivo.
Non resta che interrogarsi non solo su Omegle, ma sull’utilizzo della rete con il passaggio da una generazione all’altra.
Da una ricerca condotta dall’Osservatorio scientifico della no profit ‘Social Warning-Movimento Etico Digitale’ emerge come otto ragazzi su 10 tra gli 11 e i 18 anni trascorrono due mesi all’anno sui social network, cioè quattro ore al giorno; i ragazzi sbloccano lo smartphone in media 120 volte al giorno.
Numeri impressionanti che fanno, al contempo, riflettere sulla necessità di una appropriata educazione al digitale: sia per giovani sia, a maggior ragione, per gli adulti.
Perché se è vero che i ragazzi conoscono alla perfezione tutto ciò che concerne il digitale, è essenziale che i genitori, o i docenti, siano a conoscenza delle potenzialità della rete e, di conseguenza, dei rischi ad essa correlati.
di Chiara D’Incà