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Guerra in Ucraina, come va con le sanzioni? In Russia, abbastanza bene

01.09.2022 – 11.41 – Se la guerra russo-ucraina non accenna a rallentare, come va con le sanzioni? Bene, benino; anzi, maluccio. La Russia non ha vita facile: trovarsi di colpo, e in maniera imprevista, contro l’intero blocco occidentale da un punto di vista economico e militare ha imposto alla popolazione della Federazione naturalmente molto più che ai soldati che hanno invaso l’Ucraina condizioni dure: l’aumento dei prezzi, la scarsità di beni di consumo la presenza dei quali era data per scontata, assieme alla possibilità di viaggi e svago (dal mobile Ikea al viaggio a Venezia all’ultimo iPhone). Popolazione lontanissima, però, quella russa, secondo gli articoli sulla stampa internazionale che non ha eretto la nuova cortina di ferro, dal piegarsi, e ancor meno revocare la fiducia a Vladimir Putin o spezzarsi. Che la Russia possa arrendersi al peso delle sanzioni, rovesciare Putin stesso e restituire il Donbass all’Ucraina, permettendo sì la pace ma anche l’effettivo avvicinamento della Nato ai suoi confini, è un’ipotesi ormai sempre più remota; anzi non ci si crede quasi più e c’è una certa opinione, fra i russi, che le sanzioni possano portare persino effetti positivi, come già successe dopo Maidan e il 2014.

Finora, sempre di sanzioni parlando, la vita russa a quanto si legge e si vede in tivù non è cambiata molto a seguito di esse: chi riceve notizie da Mosca parla di una capitale ricca di iniziative dove le strade e i caffè sono pieni – dove spiace vedere il negozio occidentale, magari quello di moda italiana, chiuso, ma si va avanti con una moda magari più di casa o orientaleggiante, e nei supermercati non manca nulla. Più di ogni cosa, si parla del desiderio di tornare a una vita normale: si spende magari un po’ meno, ma si va avanti lo stesso. Ciò che le sanzioni hanno certamente fatto è stato modificare repentinamente e drasticamente le relazioni della Russia con le altre nazioni: il percorso di avvicinamento all’Unione Europea e alle abitudini occidentali, persino alle usanze americane e agli hamburger aperto da Mikhail Gorbaciov, scomparso questa settimana, si è interrotto. All’inizio del nuovo millennio, vent’anni fa, la Russia era sembrata pronta a essere come noi, quasi ansiosa di abbracciare il capitalismo, ed era ormai entrata appieno nei meccanismi e sistemi finanziari occidentali. Tutto è finito: azioni senza precedenti come quella di bloccare la metà delle risorse finanziarie russe, di isolare i sistemi bancari dalla possibilità di eseguire transazioni e, più che l’embargo sui prodotti energetici, di limitare la libertà di movimento e di studio in Europa anche dei comuni cittadini russi che con la guerra non hanno nulla a che fare, hanno lasciato un segno indelebile che durerà più di una generazione. Di fatto c’è stato un allontanamento da noi una nazione che in Europa affonda radici profonde, e che si è ritrovata completamente e rapidamente spinta verso l’Iran e verso l’Asia. Con l’Unione Europea, la Russia non parlerà più, e per un bel po’: lo si capisce, più che dalle frasi aggressive e dal vocabolario della politica (siamo del resto in guerra), da quel modo molto slavo di prendersi in giro e prendere in giro gli altri con ironia tagliente, quasi compatendoli, che si conosce bene a Trieste e meno da altre parti. Per i russi non ci siamo più (almeno per ora) e chi non l’ha capito sbaglia.

La contropartita delle sanzioni occidentali è un prodotto interno lordo russo 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021, sceso del 4 per cento negli ultimi mesi; continua a scendere, trascinato sì dalle sanzioni ma anche dal peso reale della guerra, e gli analisti si attendono che la perdita possa raddoppiare e arrivare fra il 6 e l’8 per cento. Sono in crisi naturalmente anche le aziende, soprattutto quelle manifatturiere, rimaste con le materie prime (che in Europa non abbiamo – la Russia, invece, le ha proprio tutte) ma senza componenti fondamentali come quelli elettronici, per i quali, così come noi ci eravamo affidati al gas, la Russia si era affidata all’Occidente. L’inflazione russa, però, è rallentata, e in agosto è risultata del 15 per cento, un valore inaspettatamente buono valutato il contesto tanto che l’FMI, Fondo Monetario Internazionale, ha rivisto a luglio in positivo le previsioni per la Russia. Sicuramente la nazione affronta una forte perdita a seguito dell’economia di guerra, ma significativamente meno del previsto, ed è trainata da un boom delle esportazioni (l’energia certo, che è cresciuta in export per il 38 per cento, ma non solo) e dagli investimenti pubblici avviati per calmierare la situazione. Se la fuga di aziende occidentali ha spaventato i russi all’inizio, sembra aver lasciato grande spazio alle aziende locali (il contrario di ciò che avviene in Italia, dove c’è l’arrembaggio straniero), in particolare in settori come l’alimentare e le costruzioni, e anche questa è una ripetizione del post 2014. Il rublo, sceso solo nelle prime settimane del conflitto, è rimbalzato: è la valuta che ha guadagnato di più in tutto il 2022, per un attivo di oltre 160 miliardi sempre di euro, mentre in Italia il debito delle amministrazioni pubbliche, a giugno, ammontava a oltre 2760 miliardi. Il Medio Oriente e la Cina (o l’India, o il Brasile, o la Turchia) hanno preso il posto dell’Europa come paesi fornitori della Russia, un processo iniziato già da diversi anni ma che ha preso ora enorme slancio: da lì, arrivano poi in Russia anche quei beni che Mosca non può importare direttamente, con i proprietari dei marchi che sono costretti a far buon viso a cattivo gioco. E non è vero che l’Unione Europea, mentre parla dei visti Schengen considerandola una gran mossa e si dimentica la questione del Kosovo pronto a riesplodere, ha la porta ermeticamente chiusa nei confronti della Russia: Rosatom, il gigante dell’energia atomica russo, ha ricevuto dal governo di Viktor Orban l’autorizzazione alla costruzione di due reattori nucleari in più in Ungheria proprio pochi giorni fa (ed è già in Turchia da tempo). Se parlare di numeri vuol dir guadagnare l’etichetta di putinisti e finire nella lista come Corrado Augias e il professor Barbero, corriamo volentieri il rischio. A proposito: Mikhail Gorbaciov non aprì nessuna “via a un’Europa libera” e non fece crollare la Cortina di ferro: da Putin, in termini d’ideologia, non era forse poi così distante, fatta eccezione per il radicato scetticismo del secondo nei confronti del primo di fronte alle concessioni fatte agli stati periferici dell’URSS e alla rimozione di funzioni di controllo operata da Gorbaciov nei confronti del Partito Comunista centrale. Gorbaciov, che amava molto l’Italia, fu un gran comunicatore trovatosi in mezzo a una rivoluzione più grande di lui a causa proprio della sua strategia del “liberalizzare controllando”; della quale, complice Chernobyl e anzi si potrebbe dire a causa di essa, non riuscì a rimanere a capo. E la sua idea di una nuova Unione Sovietica, stando alla storia e ai documenti, non era proprio quella che gli si attribuisce oggi: Gorbaciov autorizzò le repressioni sanguinose delle proteste in Georgia e in Azerbaijan, che causarono centinaia di morti. Ordinò ai soldati di sparare sulla folla in Lettonia e in Lituania. Per dire di nuovo di Chernobyl, anche se le fiction furono piuttosto buone con lui, in realtà non seppe gestire la situazione, e non si presentò neppure sul posto – o meglio ci andò, ma a tre anni di distanza, quando tutto era abbastanza sicuro (e dopo aver invece ordinato, in piena crisi, di proseguire con le parate del 1 maggio nonostante le radiazioni). Ed era d’accordo con Putin sull’annessione della Crimea del 2014, che pensava fosse giusta e potesse correggere l’errore di Nikita Kruscev ovvero l’aver dato alle elite ucraine (che Gorbaciov aveva rimosso dalle strutture di governo del Partito Comunista nell’ultimo periodo dell’Unione Sovietica) una terra che era profondamente russa; per poter raggiungere questo risultato, aveva chiesto agli Stati Uniti di usare la loro influenza su Kiev per “scoraggiare l’Ucraina dal perseguire un nazionalismo suicida”. Rispetto dovuto a chi non c’è più; rispetto per la storia, senza il quale il ricordo dei morti diventa irrispettoso.

[r.s.]

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