16.05.2023 – 11.15 – Tra tutti i corpi di polizia, devi sapere che c’è anche la “polizia mortuaria”, con il compito di gestire le salme, dall’autopsia fino alla sepoltura. La sua attività è disciplinata dal Regolamento di Polizia Mortuaria, ma la materia è estremamente complessa e tra leggi, decreti e regolamenti, sapere come disporre del caro estinto è un affare piuttosto complicato e pieno d’insidie. Accade così che la Concessionaria dei servizi cimiteriali di un comune piemontese si vede recapitare una richiesta di risarcimento dei danni da parte dei parenti di un defunto. Cos’è accaduto? La salma è stata cremata senza l’autorizzazione dei familiari.
La Concessionaria aveva mandato una raccomandata alla figlia del morto, ma l’indirizzo sulla busta era sbagliato. Quindi, era stata fatta la cremazione, eseguita la quale i parenti si sono sentiti moralmente danneggiati dall’evento, arrivando a chiedere in Tribunale il risarcimento dei danni. Il Tribunale, sensibile alle richieste dei superstiti, riconosce loro un risarcimento di 5.300,00 euro. La Concessionaria ritiene la condanna ingiusta e si rivolge alla Corte d’Appello che riduce il risarcimento a euro 2.500,00.
L’errore della Concessionaria sta nel non avere verificato all’anagrafe la residenza della figlia superstite. Infatti, per legge, per la cremazione è necessario il consenso espresso da parte dei familiari. Solo se i familiari sono irreperibili è sufficiente pubblicare un avviso nell’albo pretorio. Ma, nel caso di specie, non si può sostenere che i familiari fossero irreperibili per il fatto che la raccomandata è stata inviata all’indirizzo sbagliato. Dunque, per la Corte d’Appello, la cremazione non si poteva fare.
La Concessionaria ricorre alla Corte di Cassazione, con un argomento particolarmente interessante. Viene evidenziato che “le ceneri sono state riposte in un’urna riportante i dati identificativi del defunto e che la pratica della cremazione è consentita da tempo anche dalla Chiesa cattolica ed è ampiamente diffusa nel costume sociale”. Pertanto, “il sentimento di pietà per i defunti, inteso quale diritto soggettivo ad esercitare il culto dei propri morti, non è stato leso”.
Cosa decidono i giudici dell’ultimo grado di giudizio? Riconoscono, accanto al “diritto di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro”, un ulteriore diritto “di natura personalissima ed intrasmissibile, che spetta a chiunque sia congiunto di una persona, che riposa in un sepolcro, di accedervi e di opporsi ad ogni trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella spoglia”. Questo secondo aspetto è importante in una società civile, poiché tutela i “sentimenti che esaltano l’aspetto spirituale dell’uomo e costituiscono la parte più alta e fondamentale del patrimonio affettivo della comunità”.
La Concessionaria sbaglia a sminuire quanto accaduto, sostenendo che la trasformazione della salma in cenere non avrebbe leso alcun diritto dei parenti. Infatti, “l’interesse al culto dei defunti non è leso soltanto dalla distruzione o dispersione del cadavere, ma altresì dalla imposizione di forme di culto che non sono previamente accettate dai parenti del defunto”. E’ proprio la legge che, riconoscendo il diritto a opporsi alla cremazione, stabilisce che la cremazione, se non autorizzata, è un atto lesivo del diritto di culto. La condanna della Concessionaria, seppur ridotta, viene pertanto confermata. (Cass.civ. 370/2023)
[Rubrica a cura dell’avv. Guendal Cecovini Amigoni]