05.09.2025 – 12:27 – La morte di Giorgio Armani, avvenuta ieri, chiude uno dei capitoli più longevi e influenti della moda italiana. Nato a Piacenza nel 1934, Armani ha costruito un impero che nel 2023 ha superato i 2,5 miliardi di euro di ricavi, mantenendo fino all’ultimo un controllo diretto sul gruppo che porta il suo nome, caso ormai raro in un settore dominato da conglomerati internazionali come LVMH e Kering. Il lutto ha assunto un rilievo particolare in Veneto, regione che negli anni ha rappresentato un palcoscenico privilegiato per l’estetica armaniana. Il governatore Luca Zaia ha ricordato episodi simbolici di questo legame: dalla première veneziana del documentario ‘Made in Milan‘ di Martin Scorsese nel 1990 alla sfilata One Night Only del 2023 all’Arsenale, che fu al tempo stesso evento di moda, manifestazione culturale e operazione filantropica, con finanziamenti alla ricerca lagunare e al restauro di Ca’ d’Oro.
Questi gesti hanno consolidato un rapporto con Venezia culminato nel Leone d’oro in vetro di Murano, riconoscimento conferitogli lo scorso anno. Ma più che un semplice tributo, l’onorificenza ha rappresentato l’istituzionalizzazione di un dialogo tra la città e uno stilista che ha fatto della sobrietà un codice estetico e industriale.
Oltre all’impatto simbolico, la scomparsa di Armani solleva interrogativi sulla governance futura del gruppo. Con circa 8.300 dipendenti nel mondo e una rete di oltre 650 punti vendita diretti, l’azienda resta una delle poche maison globali non quotate in Borsa. La questione della successione, già da tempo oggetto di speculazione, diventa ora inevitabile.
L’Italia piange dunque un uomo che ha ridefinito l’eleganza e al tempo stesso difeso un modello di impresa anomalo e resiliente. Per Venezia, rimane l’immagine di un protagonista che ha saputo trasformare la città in palcoscenico globale e, al tempo stesso, in destinataria di una filantropia discreta. È questa doppia eredità estetica e industriale che oggi viene messa alla prova dalla sua assenza
[c.v.]