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Alto Adriatico, trasformazione irreversibile di un ecosistema in 40 anni

29.11.2022 – 9.30 – Durante gli ultimi 40 anni, l’ecosistema marino dell’alto Adriatico ha subito mutamenti irreversibili, a causa delle numerose attività umane e dell’aumento delle temperatura delle acque.
L’insieme di variazioni nette e totalmente inaspettate che hanno caratterizzato l’ecosistema marino sono state registrate durante lo studio condotto dagli scienziati dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Università di Amburgo e Cnr-Ismar, ricerche pubblicate sul Journal of Animal Ecology.
La scoperta è stata possibile analizzando con metodi matematici avanzati le serie temporali delle catture di organismi, pesci e invertebrati, da parte della flotta peschereccia di Chioggia, la maggiore d’Italia. Dalle ricerche emerge come l’ecosistema marino dell’alto Adriatico, a seguito delle pressioni umane cumulative ed i cambiamenti climatici, sia talmente mutato in appena quattro decenni, da risultare ‘deformato’.
“Sembra che l’ecosistema del mare Alto Adriatico-spiega Alberto Barausse del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e coordinatore dello studio pubblicato- sia cambiato in modo irreversibile: anche se diminuissimo la pressione di pesca, le temperature non si riabbasseranno a breve a causa dell’inerzia del cambiamento climatico. Capire i fattori che portano a questi cambiamenti di regime negli ecosistemi marini è quindi fondamentale per saper gestire le nostre attività, come la pesca, senza erodere la resilienza degli ecosistemi: una volta che un cambiamento di regime è avvenuto nell’ecosistema, potenzialmente con conseguenze negative non solo per la biodiversità ma spesso anche per le attività economiche, purtroppo non sempre è possibile tornare indietro facilmente”.
Queste trasformazioni irreversibili del sistema implicano un’isteresi complessiva dell’ambiente, che a causa della sua incapacità di ritornare ad uno stato di equilibro a seguito di un forte shock, crea un nuovo stato stabile.
“La composizione di quello che si pesca riflette la comunità di organismi che abitano il mare”, sottolinea Camilla Sguotti, ricercatrice post-dottorato del programma europeo ‘Marie Skłodowska-Curie Actions’ al Dipartimento di Biologia dell’Ateneo di Padova e prima autrice dello studio.
“A partire dagli anni Ottanta – prosegue Sguotti-si è avuto un andamento caratterizzato da lunghi periodi di stabilità nella varietà e qualità del pescato, intervallati da improvvisi cambiamenti discontinui a causa dell’effetto sinergico di pressione da pesca e riscaldamento dei mari dovuto ai cambiamenti climatici. La cosa interessante è ‘scoprire’ solo ora questi cambiamenti, cioè dopo decenni, in quanto le catture totali della flotta sono rimaste approssimativamente costanti nel tempo, distogliendo quindi l’attenzione dall’avvicendarsi delle diverse specie nei decenni”.

[m.g]

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