21.06.2022 – 07.20 – Una ricerca svolta nel Regno Unito da un team di ricercatori italiani e inglesi ha dimostrato il nesso di causalità tra la qualità del lavoro e la salute mentale dei lavoratori, soprattutto nelle donne. Lo studio, pubblicato sulla rivista Labour Economics, è stato condotto dai docenti di Economia Politica Michele Belloni dell’Università di Torino, Elena Meschi dell’Università Milano Bicocca e da Ludovico Carrino, ricercatore del King’s College di Londra e dell’Università di Trieste.
Le analisi attuate hanno impiegato dati provenienti da oltre 26.000 lavoratori britannici (donne e uomini) che hanno svolto lo stesso lavoro tra il 2010 e il 2015. Pur mantenendo lo stesso lavoro, le condizioni all’interno delle quali queste persone hanno operato sono cambiate nel corso del tempo sia a causa del progresso tecnologico che delle fasi di crescita e di decrescita economica, che hanno inciso sull’operato delle aziende in cui lavoravano. Lo studio ha analizzato come la salute mentale dei lavoratori, in generale, abbia reagito nel tempo al cambiamento delle condizioni di lavoro.
Attraverso lo studio, i ricercatori hanno scoperto che le caratteristiche principali di un lavoro che hanno un effetto sulla salute mentale dei suoi dipendenti sono due: la flessibilità di organizzazione degli orari di lavoro e il grado di autonomia che le persone hanno nell’applicare e sviluppare le loro competenze sul posto di lavoro. La ricerca ha rilevato che queste caratteristiche del lavoro hanno conseguenze diverse in base al sesso del lavoratore: in particolare, la salute mentale delle donne appare più sensibile, rispetto a quella degli uomini, a variazioni nella qualità del lavoro. Infine, lo studio sottolinea la grande rilevanza economica e sociale dei risultati per il contesto della figura lavorativa femminile, anche considerato che, in Inghilterra come in Italia, le donne tendono a ricoprire più frequentemente una molteplicità di ruoli cruciali come la cura della casa e dei figli che creano conflitti tra famiglia e lavoro.
L’analisi svolta prova che i miglioramenti nella qualità del lavoro portano a grandi riduzioni della depressione e dell’ansia per le donne. Questa evidenza suggerisce che politiche pubbliche e private che migliorino la salute sul lavoro potrebbero portare a una maggiore efficienza nell’ambito dei servizi sanitari e per il benessere di tutta la società, dato che i costi legati alla salute mentale sono notoriamente molto rilevanti. I dati disponibili per l’Italia, da uno studio realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, basato sul sistema di sorveglianza PASSI [2017-2022] stimano che almeno il 6% degli italiani sotto i 70 anni abbia sintomi depressivi, e che la depressione colpisca le donne da due a tre volte più degli uomini. Nel Regno Unito, la Mental Health Foundation ha recentemente stimato che i problemi di salute mentale costano all’economia britannica, soprattutto a causa della minor produttività del lavoratore, almeno 118 miliardi di sterline l’anno, il 5% del PIL di tutto il Regno Unito.
Elena Meschi, docente di economia politica all’Università Milano-Bicocca,afferma che “dallo studio è inoltre emerso come gli interventi volti a migliorare le condizioni di lavoro possano essere più efficaci per alcune lavoratrici piuttosto che per altre, a seconda del tipo di lavoro che svolgono. In particolare, i risultati segnalano che i benefici maggiori di un miglioramento nella qualità del lavoro si riscontrano nelle donne impegnate in mansioni caratterizzate da alto stress lavorativo. Sono questi i lavori ove si riscontrano contemporaneamente sia elevate esigenze psicologiche, sia bassi livelli di controllo decisionale su come soddisfare queste esigenze”.
di Valeria Lambiase